Il mio bambino non sa giocare
- Samuela Savini
- 16 giu 2016
- Tempo di lettura: 4 min

“Il gioco e soprattutto il piacere associato all’attività ludica rappresenta un momento estremamente importante per la relazione”…il gioco, il gioco…avevo iniziato così, ma di fare la maestrina oggi non ne ho voglia... anche se mi viene bene! Dare nozioni, scaricare informazioni, passare da fredde relazioni a fredde compilazioni non lascia niente a nessuno, soprattutto in questo contesto. I bambini, fin da quando sono piccoli hanno bisogno di giocare, ma soprattutto hanno bisogno di giocare con voi. Certo anche il gioco individuale e il gioco fra coetanei e importantissimo, perchè per un bambino importante è giocare. Qua sono però a parlarvi della risorsa che il gioco rappresenta nel rapporto con i figli: nessun gioco resterà nella loro mente tanto impresso quanto quello che gli ha permesso di passare qualche ora con la mamma o il babbo. E non ha importanza il tipo di gioco, non serve andare a scomodare i modelli pedagogici di moda al momento o chissà quale altra operazione commerciale dei nostri tempi; come vi ho già detto in altre occasioni, tutta quella sfera va a toccare il senso di inadeguatezza degli adulti e il bambino rischia di rimanere sullo sfondo nella relazione. Cerchiamo di proporgli giochi “ganzi” per sentirci noi bravi, ma per i bambini il gioco più’ bello che c’è è quello con i loro genitori. Che sia salire su un albero, inseguire una farfalla, stare seduti a fare le facce buffe, usare un mostro Mattel o un perfettissimo e nobilissimo gioco montessoriano. Perché il gioco è relazione, è un contenitore emotivo, una piscina dove noi e il nostro bambino entriamo in contatto ciascuno portando la propia interiorità. Noi il bambino che eravamo, lui quello che è e sarà. E in ogni casa con tanti giochi c’è sempre un contenitore dove riporli. In questo caso quel contenitore siamo noi. Siamo noi che dobbiamo lasciarlo provare rabbia, frustrazione, gioia e fallimento, perché il gioco insegna la vita, prepara il bambino alle future emozioni di adulto. Un bambino che gioca è un bambino che impara e conosce, diventa consapevole di quello che possono fare le sue mani e la sua mente, Un bambino che gioca apprende le emozioni, la gioia come la paura, il successo come la frustrazione. E l’adulto che gli sta accanto aiuta il bambino a dargli un nome a queste emozioni. Da piccola io non volevo giochi strutturati o che avessero troppe regole. Non ho mai amato la lego e le costruzioni, mi sembrava di perdere tempo, con tante regole venute da fuori. Amavo invece tantissimo le Barbie e con loro inventavo storie bellissime, tagliavo capelli, cucivo vestiti, inventavo i miei giochi. I bambini devono giocare e noi dobbiamo giocarci assieme ma le regole le dettano loro. Noi serviamo solo come supporto emotivo, come conferma della loro presenza, come sponde su cui rimbalzare. Siamo tappeti elastici che si raccolgono e aiutano la spinta, ma il cielo, il vento nei capelli, l’ebbrezza del volo è solo loro. Dobbiamo rassicurarli quando giocando si fanno male non impedirgli di farsi male. Facile no? Si, nel mondo dei genitori perfetti, in quello della nostra semplicità umana invece tendiamo sempre più a proporgli giochi complessi e strutturati che inquadrano e semplificano fin quasi ad annullarsi le emozioni. Abbiamo delegato al gioco il compito di creare cittadini e non persone. Si privilegia la disciplina, l’ordine, a scapito dell’emotività. Perché “SENTIRE” anche per noi grandi, ci ha sempre fatto troppa paura. E pensare che anche i nostri piccoli possano“ sentire” ci fa ancora più paura, e cerchiamo sempre di proteggerli da qualcosa che NOI, non siamo riusciti a collocare nei giusti cassetti e che noi non riusciamo a spiegare alle nostre piccole persone di domani. Sarà sempre preziosa la vostra presenza nel limite del vostro tempo. Quante volte mi sono sentita dire: questo gioco l’ho comprato e non gli piace, quest’altro ci ha giocato tantissimo. La differenza? Probabilmente il gioco che non gli è piaciuto, non è piaciuto perché per primo anche voi non lo avete amato e non avete condiviso con lui quell’emozione. Nel secondo caso invece si, ci siete stati e quel gioco è diventato quello più bello. Un esempio? La scorsa caldissima e meravigliosa estate. Due bambini, un babbo ed io. Mettiamoci dentro una cappa d’afa, le ranocchie che gracidano in un rivolo in secca e i grilli. Si apparecchia fuori, si cena asciugandosi il sudore, con le solite frasi “ ma che caldo fa”, “mamma mia oggi che caldo” e altre filosofiche interpretazioni della realtà..un rivolo di vento, una leggera brezza che si alza puntuale e desiderata dopo le 22. Bene, prendiamo qualche gioco di società, di quelli semplici, ma divertenti. I miei figli non ci avevano mai giocato o non ci avevano mai giocato piu di tanto. Passammo l’estate tra un Super Farmer e un Rush & Bash, tra un Aia Gaia e un Gigamon, tra il sudore e la brezza, la notte e i grilli. E più la notte giocavamo più il giorno quei giochi i miei figli li proponevano ai loro amici, più faceva caldo più stavamo assieme. E stare assieme era quello che volevano: più giocavamo più loro volevano giocare, meno lo facevamo più Nintendo e giochi “alienanti” entravano nella loro quotidianità. Non voglio insegnare niente, perché non lo si può fare. Ci sono centinaia di libri che trattano il rapporto genitore figli e questi hanno solo aumentato il senso di inadeguatezza dei “grandi”. Perché quando leggi non esiste rapporto tra chi scrive e chi ascolta. Sono solo nozioni, spesso senza emozioni. Quello che si può fare è giocare, con loro, con il nostro bambino interiore, con la nostra emozione di farlo, giocare in tutti i modi che il tempo e la vita ci lasciano, con i giocattoli e con la fantasia, senza istruzioni di montaggio “sul come far giocare i nostri bambini meglio dei bambini del vicino”, perché l’unico giocattolo a cui non rinunceranno mai siete voi.
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